Cosa sono le performance?
Il concetto di performance è oggi usato in due tipi di contesto:
- nel linguaggio sportivo indica la prova ginnica, la prestazione raggiunta, il risultato conseguito;
- nell’arte contemporanea sta a significare una particolare forma di produzione comunicativa, attraverso la messa scena di se stessi, come riflessione critica sulla realtà. Attraverso il ricorso a linguaggi, modalità espressive appartenenti ad altre arti, si crea, con il corpo, un'opera unica ed irripetibile.
La performance è un'arte comportamentale che, mettendo in scena le capacità performative del corpo, sviluppa una riflessone critica sulla cultura e sulla società, a partire dall'attenzione al corpo umano, alla sua inesauribile capacità di produrre simboli, alla sua illimitata fonte di valori e di significati.
Performare significa, infatti, portare a termine, compiere, realizzare. In senso più ampio la performance è simile ad una sala degli specchi che riflettono gli eventi che si presentano e che non possono sfuggire alla riflessione ma lo fa con “specchi magici” (Turner) i cui riflessi sono molteplici, alcuni ingrandiscono, altri rimpiccioliscono, altri ancora deformano, rendono brutti o belli eventi e rapporti che non sempre sono riconosciuti come tali nel flusso troppo veloce della vita quotidiana in cui le persone (i personaggi) sono invischiati.
Mediante un evento performativo si porta alla luce ciò che nella normalità è inaccessibile, si comunica ciò che invisibile all’osservazione ed impenetrabile al ragionamento.
Il rituale performativo è in grado, anche in condizioni di mutamento della società, di operare una modifica creativa su alcuni o su tutti i suoi livelli.
Le performance non sono mai amorfe o prive di un’organizzazione interna (hanno un esordio, una sequenza di tappe, una conclusione), e la loro struttura non è quella di un sistema astratto, non obbedisce alla logica della cognizione. Nella coscienza della modernità conoscenza, idea, razionalità, erano concetti dominanti. Nella post-modernità, la cognizione non viene destituita, ma perde la sua centralità. Non è più la sola risorsa a disposizione del cybernauta.
Oggi si acquista consapevolezza non con la riflessione solitaria, ma partecipando direttamente o con la mediazione dei vari generi di performance, ai drammi socioculturali.
Prima ci si esprime, poi si riflette.
La performance cosmopolita
- L’impegno nel disimpegno
In una società in cui la maggior parte delle attività è standardizzata, cresce il valore compensativo del gioco e del loisir. Le attività del tempo libero offrono l’opportunità di provare esperienze emotive di cui è povera la vita quotidiana, di avvertire la piacevole sensazione dell'allentamento del controllo, della comunicazione, senza sospetto, delle proprie esperienze. Nel tempo del loisir le norme del vivere collettivo non sono sospese; spesso rimangono le medesime che regolano gli ambienti della competizione e della prestazione. Nel divertimento sono però intese come gioco liberamente scelto, come prestazione orientata esclusivamente a sé.
L’industrializzazione ha introdotto una rigida divisione fra lavoro e tempo libero; “lavoro” è considerato come regno dell’adeguamento razionale dei mezzi ai fini. Lo sviluppo tecnologico e l’organizzazione politica e industriale dei lavoratori, hanno avuto l’effetto complessivo di portare più svago nel “tempo libero” delle culture industriali.
Nel quadro di questo aumento dello svago, sono proliferati generi simbolici di puro divertimento. La delimitazione fra “lavoro” e “tempo libero” non è più naturale ma arbitraria. Il tempo di svago è associato alla libertà dagli obblighi e la possibilità di recuperare e godere di nuovo dei ritmi naturali biologici. È libertà di accedere ai mondi simbolici del divertimento, degli sport, dei giochi e dei diversivi di qualsiasi genere e addirittura di generarne di nuovi. Inoltre, lo svago è libertà di trascendere le limitazioni imposte dalla struttura sociale, libertà di giocare con idee, fantasie, parole con il colore e con le relazioni sociali, nei rapporti di amicizia, negli esercizi di sensitività, negli psicodrammi e in altri modi con il carattere ludico e sperimentale.
I generi specializzati di intrattenimento artistico e popolare si moltiplicano per creare non soltanto forme strane, ma anche modelli diretti o indiretti che contengono una critica dello status quo che può apparire a volte distruttiva. L’intrattenimento della società industriale è spesso sovversivo, cioè satireggia, prende in giro, corrode sottilmente i valori centrali delle prestazioni su cui si fonda la società.
Sembra che l’industria abbia causato la scomparsa della potente componente del gioco, sviluppando regolarmente la tendenza ad accentuare il solenne (che richiede prestazioni, investimenti e consumi) a scapito del festoso (che celebra i legami ed esprime la spontaneità). Il divertimento come intrattenimento, però, è una domanda, esplicita o implicita, consapevole o inconscia, di libertà; costituisce una fonte di democratizzazione, implica, ad un livello ancora confuso, il ritorno del gioco, diventato oggi una faccenda seria, anche a motivo del declino dei riti familiari e sociali e del restringersi della pratica religiosa nel cui ambito la gente era abituata a diventare moralmente riflessiva e ad interpretare la vita come senso.
“Il gioco è un’azione libera: consapevole di non essere “presa sul serio” e situata al di fuori della vita consueta; un’azione a cui in sé non è congiunto un interesse materiale, che si compie entro un tempo ed uno spazio definiti di proposito; che si svolge con ordine secondo date regole e suscita rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo solito”J. Huizinga.
I codici dell’intrattenimento notturno, i messaggi del vocalist nelle discoteche, le parole che descrivono le prodezze del divertimento sono spesso sferzanti e caricaturali, se si prescinde dagli orpelli esterni di assurdità, fantasia ed oscenità. Anche la satira e la parodia, infatti, sono forme di gioco.
La capacità di ironia, intesa come distacco e de-coinvolgimento (come per esempio è proposto nella logoterapia di V. Frankl o nella pratica della terapia sistemica), ricopre un ruolo importante perché le varie esperienze e visioni del mondo possano essere descritte nella loro evoluzione e nel loro dinamismo. Per mezzo di un’ironia sottile si può asserire che le cose non sono semplicemente ciò che sembrano ma molto di più e altro. La comunicazione cosmopolita, infatti, richiede dimestichezza con metafore, paradossi e doppi vincoli, linguaggi analogici. In questo modo si pongono le basi per superare la tentazione etnocentrica che la competizione delle prestazioni induce in ogni luogo e tempo.
- La promiscuità, voglia di socialità
Nella comunicazione cosmopolita tutti i partecipanti sono considerati nativi della loro cultura e non nativi gli uni rispetto agli altri; delle quattro forme di comunicazione esaminate da B.W. Pearce (monoculturale, etnocentrica, modernista, cosmopolita), dunque, è la più impegnativa.
La “voglia di comunità” rischia ogni volta di naufragare nel nulla. Numerose espressioni giovanili, molte loro performance culturali, sembrano indicare, piuttosto, la necessità di reagire alla solitudine della società dell’individualismo, attraverso forme di comunicazione che sembrano perse nei tempi passati (si parla di “tribù”urbane) e che oggi ritornano riproponendo, in forme inedite la comunicazione monoculturale. La prossimità nell’effervescenza della “massa di festa”, la promiscuità nella condivisione eccitata di uno stesso territorio, reale od immaginario, la pulsione dello stare insieme senza impegno, danno origine a performance estetiche dove non si riproducono le grandi opere della cultura, ma si porta in scena la vita di tutti i giorni.
M. Maffesoli sostiene che si è talmente insistito sulla disumanizzazione, sul disincanto del mondo moderno, sulla solitudine che esso ingenera, che non si è più in grado di vedere i reticoli di solidarietà che vi si costituiscono. “Ritengo – egli sostiene - che i ripetuti discordi sul narcisismo o sullo sviluppo dell'individualismo, luoghi comuni di numerose analisi sociologiche e giornalistiche, siano teorie convenzionali, esprimono lo smarrimento profondo di intellettuali che, non comprendono più nulla della società dalla quale maturano la loro stessa ragion d'essere, tentano così di ridarle senso”.
La vitalità e l’esaltazione del popolo della notte come della vita di piazza, sicuramente non uniscono le persone in legami duraturi di appartenenza, non coltivano la consapevolezza di condividere una storia comune, ma stabiliscono tuttavia un legame di promiscuità, un rapporto per contaminazione, dove l'”empatia” avviene per contatto, un incontro di sguardi, un’esperienza tattile, una relazione di sintonia a partire dai sensi. Stare insieme permette di entrare nello spazio dell’intimità: nella massa ci si incrocia, ci si sfiora, ci si tocca, si stabiliscono interazioni, si formano e si disfano gruppi, si crea l'atmosfera.
Nell’animazione culturale di strada questo “clima” sensibile costituisce il substrato del riconoscimento e dell'esperienza dell'altro.
La varietà nell'abbigliamento, la spontaneità del portamento, il culto del corpo, i giochi dell'apparenza, i messaggini per via elettronica, la complicità sessuale, delimitano un medium ed un continuum dove ciascuno è, nello stesso tempo, attore e spettatore in una "relazione di sintonia" che si può chiamare “socialità”. Le grandi riunioni, sportive e musicali, l’animazione delle piazze e delle strade (per esempio dei centri storici) sono segni indicatori di un’alternativa all’individualismo ancora in formazione. L'individuo non vuole restare isolato, ma neppure intende appartenere. La voglia di socialità imbocca la via sotterranea ma non meno intensa, della vita banale: lo stare insieme senza impegno, la relazione pura la liberazione dalla prestazione e dal controllo. Non importa se i grandi luoghi dell’aggregazione, finiti nell’ottica del business e dell’industria dello spettacolo impongono nuove prestazioni e nuovi controlli: questi però sono scelti e voluti.
La socialità spontanea è un confronto diretto, immediato e senza inibizioni fra identità umane differenti; possiede la forza e la fascinazione della “magia”. Chi la prova, la descrive attraverso la sensazione di un “potere infinito”, di una relazione diretta, vissuta nell’immediatezza. È la possibilità pura di accogliere l’altro in modo simpatetico liberi dai condizionamenti di status, di genere, appartenenza, di stima sociale.
Le persone trovano i ruoli della vita quotidiana troppo angusti e soffocanti. Per questo il fascino della notte s’alterna alla paura del giorno. Di notte le differenze di ruolo e gli obblighi della prestazione sembrano annullati.
La socialità è aperta a comprendere tutti, mentre la struttura sociale tende ad essere esclusiva e ad imporre continue distinzioni: noi/loro, dentro il gruppo/fuori dal gruppo, superiore/inferiore, lusso/meschinità. La condizione liminoide è “una communitas omogenea non strutturata, i cui confini coincidono idealmente con quelli della specie umana. Quando anche solo due persone credono di sperimentare fra loro una simile unità, esse sentono, anche solo per un attimo, tutti gli uomini come una cosa sola. Le generalizzazioni del sentimento sono più rapide di quelle del pensiero!”.
La socialità potrebbe preludere al cosmopolitismo ma è incessantemente tentata di refluire nella monocultura evasiva. Vorrebbe comprendere tutti, abbattendo ogni barriera, ma la sua forte componente affettiva agisce più direttamente di ogni pensiero ed induce al proselitismo: fare in modo che gli Altri diventino Noi. La massificazione si combina con il tribalismo. Il pensiero cosmopolita, invece, è plurale, ed è basato sull’assunto che Noi e Loro condividano la medesima solidarietà; la socialità, invece, si basa sull'ambiguità fondamentale della strutturazione simbolica.
I miti musicali (forse gli unici rimasti ad imporsi alle masse con la forza della persuasione) garantiscono l’esistenza di una storia passata e preannunciano un imminente possibile ritorno: la socialità, però è senza tempo e un eterno adesso.
I legami della comunità territoriale poggiano sull'intesa razionale di persone che hanno un'esistenza autonoma e possiedono un'identità, magari aperta ma coerente. In tempi di drastici e profondi mutamenti sociali, invece, prevale la ricerca della socialità pura, fine a se stessa.
- Perdersi per ritrovarsi: il flusso emozionale
L’etica cosmopolita è una forma impegnativa di comunicazione ed una concezione del mondo incompatibile con l’immaturità narcisistica.
È prevedibile aspettarsi che alla dura accettazione della realtà del mondo globalizzato e alla pesantezza della quotidianità si preferisca la leggera superficialità della socialità. La performance estetica piuttosto che esperienza di rielaborazione e di espressione di sé tende a diventare, soprattutto quando entra nell’ottica dell’industria del divertimento, una performance sensoriale: un espediente per “provare”, un “sentire” esagitato, una comunione artificiale.
La fuga dalla realtà del quotidiano trova facile espressione nella ricerca di una “mente di gruppo”, dove la percezione stessa della coscienza individuale viene superata a favore di una condizione di intimità psichica collettiva nella quale le menti individuali si fondono in un’unica, indistinta, coscienza.
Il corpo individuale viene così confuso nel corpo collettivo, immerso in una sorta di realtà indistinta che assolutizza la funzione emotiva e i meccanismi d'identificazione e di partecipazione che ne sono legati.
L'affollamento consente di vivere una forma di fusione comune che abolisce ogni distanza tra sé e gli altri e fa di tutti un unico amalgama: il flusso emozionale. I piaceri della folla, sotto l’influenza degli stimoli della musica, della danza, dell’effettistica elettronica, producono l’esperienza della sintestesia, la sinergia di stimoli sensoriali diversi, visivi, auditivi, tattili, spaziali, viscerali.
La fusione tra azione e coscienza è facilitata dal concentrarsi dell’attenzione su un campo di stimoli limitato. L’intensificazione sensoriale è il segreto del successo: quando i mezzi fisiologici e sensoriali non fossero ritenuti sufficienti, sopperiscono alcol e droghe, sostanze che, più che “espandere” la coscienza, delimitano e intensificano la percezione sensoriale.
La sessualità riveste un ruolo che in alcune performance è essenziale. Nelle sue forme perverse e polimorfe è il tema costante del vocalist e dell’immaginario delle discoteche, non come medium dell’incontro interpersonale, ma come pulsione che accresce la socialità, un’amplificazione della simpatia di massa.
I media, di cui le nuove generazioni sono plasmate, hanno predisposto i partecipanti a pensare in termini di feeling, di “fusione”. Nella società mediatica è cambiato il modo stesso di intendere le parole e quindi anche il pensiero: comunicare è sempre più trasmettere delle emozioni in un contesto ad effetto. La comunicazione riuscita è considerata come uno scambio di vibrazioni. Diventano importanti i linguaggi che producono effetti. Le performance sono, quindi, un interessante laboratorio dove si producono allegorie per ridare incanto al mondo. Nei periodi storici in cui la pratica religiosa subisce una caduta (così sostiene E. Durkheim), la funzione di generare intense identificazioni emozionali all’interno della cultura è assunta in gran parte da una molteplicità di generi ‘frivoli’.
Stadi, discoteche, happening musicali, palestre, supermercati ritualizzano il consumo estetico, lo regolamentano e lo promuovono attraverso cerimoniali che ricordano spesso quelli religiosi. Gli sport sono vissuti da masse di persone come nuovi grandi riti sociali. Concerti, meeting, spettacoli di massa producono un’effervescenza sociale ritualizzata.
L’identificazione con gli atleti o con i divi dello spettacolo esercita un fascino e un’attrazione capaci di stimolare, per moltitudini di persone (non solo adolescenti), una passione che sostituisce l’interesse e la partecipazione alle grandi questioni della collettività e del suo futuro, al punto che la salvezza personale per alcuni consiste nell’assomigliare a loro. La moda, la danza, gli spettacoli di massa, che sono forme rituali, hanno un crescente successo, pari al valore che le società avanzate attribuiscono ai prodotti emozionali, alle espressioni ludiche, all’effervescenza della socialità. Ognuna di queste manifestazioni vede una partecipazione giovanile massiccia, attiva e convinta.
Le attuali performance estetiche o sociali sono, così, lo specchio di cosa diventano i riti al tempo dell’individualismo. Il fluire della socialità produce una sensazione “olistica”, che con l’irruenza di un fiume in piena, travolgono e confondono azione e consapevolezza in un indistinto comunionale fino a produrre l’effetto ineffabile dell’”esperienza oceanica”.
L’esperienza monoculturale del ”flusso” produce una sensazione di felicità che tocca il vertice del godimento (momentaneo) e disperde rapidamente ogni sensazione di pericolo e di difficoltà, dando vita ad una condizione di coinvolgimento totale in cui un’azione segue all’altra secondo una logica interna che sembra procedere senza bisogno di consapevolezza e controllo.
La domanda di comunità artificiale è in continua crescita perché riempie la momentanea fuga dalla prestazione. La realtà tende ad essere “semplificata fino a diventare comprensibile, definibile e manipolabile”, il partecipante sente che tutti gli uomini, e addirittura tutte le cose, costituiscono un’unità. La persona “nel flusso” si sente padrona delle proprie azioni e all’altezza delle richieste dell’ambiente circostante.
L’effervescenza della “comunità” e l’esperienza del flusso hanno accesso alle regioni inconsce e anche oscure del mondo interiore. Sono un surrogato del rito religioso e come questo, se pure in modo artificiale e nell’effetto di breve durata, rende accessibile l’invisibile e l’indimostrabile, colma la distanza che separa gli individui, restituisce dalla loro interiorità emozionale e dai legami vitali. È come vincere con l’immaginazione ciò che con la scienza continuamente fallisce; recuperare con l’estetica quello che si è perduto nel disorientamento dei costumi. Un’attesa tanto eccedente difficilmente sarà colmata dalle performance estetiche commerciali. La speranza frustrata tuttavia non si rassegna, cerca ulteriori soluzioni.
Nelle società postindustriali le ritualità familiari, sociali e religiose sono state impoverite e in molti casi soppiantate dall’individualismo e dal razionalismo, il flusso emozionale è ricercato principalmente nei generi di svago. I prodotti della tecnologia avanzata hanno moltiplicato le capacità umane e creato possibilità di comunicazioni prodigiose. La lettura del mondo si è fatto più complessa, le forme della comunicazioni si sono evolute, l’attività umana si è diversificata. Tutto è più difficile, anche divertirsi. Anche lo svago che pur appartiene al domino della libertà e del piacere è diventato complesso e differenziato. Nuovi generi musicali, come la trance industriale, si specializzano a convertire il rumore in ritmo, il caos cittadino in cadenza modulata, il disordine interiore in confusione ritmata. La realtà sociale è fluida e indeterminata, le biografie personali indecise e contraddittorie, i significato ereditati dal passato non riescono più a coordinare le emozioni, i legami insicuri non sono più in grado di contenere e modellare le persone. L’interiorità emozionale così come il vivere insieme si presenta come un contraddittorio intersecarsi di processi sconclusionati.
Quando la performance si mette male
Con la modernità l’esperienza religiosa (e la sua narrazione di senso come un viaggio verso la patria dell’al di là) è implosa drammaticamente, e dalle sue rovine si sono sviluppate performance rituali secolarizzate e specializzate ad occupare il terreno lasciato libero dalle ritualità religiose. I riti tradizionali hanno perso, anche a motivo della propria trascuratezza, gran parte del loro fascino e della loro capacità trasformatrice. p>
Le performance culturali estetiche conoscono una stagione di successo e di consenso, anche il loro adattamento, tuttavia, è precario: non sempre la performatività è capace di realizzare ciò che promette. Dopo il tempo del “disincanto del mondo” (operato dallo strapotere della ragione strumentale) si assiste oggi ad una domanda diffusa di reincanto e di magia. Questo ritorno del “religioso” è vago ed impreciso: s'inscrive in una cultura strutturalmente plurale e contraddittoria, che cerca emozioni perché ha paura del vuoto, e che, contrariamente all’unione mistica che ama la contemplazione, riproduce il rumore permanente del caos, l'agitazione disordinata delle città e dello stress.
La complessità sociale rende difficile soprattutto collegare i testi alla vita: le parole in pubblico riescono meno a produrre magia. Anche in gruppi omogenei le performance possono apparire vere per alcuni, inautentiche per altri.
In epoca di diffusa secolarizzazione, nella complessità culturale e nelle contraddizioni tipiche della società pluralista, l’integrazione dei gruppi e della collettività avviene però ancora attraverso comunicazioni simboliche. Le performance sociali devono, comunque, tendere ad armonizzare gli elementi che le costituiscono per diventare efficaci: solo attraverso processi integrativi si crea il senso dell’identità condivisa (così avviene la socializzazione degli adolescenti quando l’indipendenza è cercata nella fusione del gruppo, così funziona il gergo giovanile quando la parola produce identificazione e coesione).
La parola mantiene, quindi, la sua centralità ma assume un ruolo nuovo.
La società complessa e tecnologica non produce solo disincanto ma inventa costantemente anche performance simboliche. Il processo di razionalizzazione non è mai completamente realizzato. Le società più razionalizzate, infatti, sono anche quelle più alla ricerca d’incanto e di mistica. Ne è un segno il vasto ritorno al linguaggio del mito (un esempio per tutti è il successo multimediale di Harry Potter che affascina non solo i bambini ma anche adolescenti ed adulti!).
Il ricorso al mito agisce con efficacia nel reincanto del mondo ma, da solo, non riesce ad interpellare le persone, ad appassionarle in un progetto, a stringerle in legami duraturi.
La performance estetica non riesce però a trasformare la promiscuità in “comunità”, a condurre, cioè, in una qualche direzione la voglia di contatto che richiama i giovani agli eventi proposti e dal cui successo dipende anche la sopravvivenza dell’istituzione che li offre, oltre la soddisfazione dei partecipanti. Il problema ha conseguenze dirette e concrete anche in termini economici: occorre “fidelizzare l’utenza” perché, soddisfatta della performance, ritorni e ne diffonda l’immagine. Il risultato non si ottiene, certo, incentivando l’uso di alcolici e droghe, né banalizzando il sesso o colludendo con la trasgressione. L’appagamento duraturo (e fidelizzato) dell’evento performativo nel linguaggio degli adolescenti è indicato con l’effetto del divertimento (che significa molto più di svago o, più ancora, di distensione), esperienza difficile e complessa perché ha a che vedere con parole tanto impegnative quanto utopiche, come“libertà”, “liberazione”, “amore”, beni rari ed improbabili, accessibili spesso solo nella loro versione “virtuale”, espressi sempre nel modo congiuntivo o al tempo futuro.
Il vissuto emotivo invece esige il presente. La performance estetica diventa, cosi, il luogo dove le regole ed i vincoli sociali crollano, dove i legami si consumano, dove le certezze vengono irrise, senza che nulla venga a sostituirli. Il lungo viaggio dell’identità giovanile rifiuta di riconoscersi in un progetto politico, sembra non avere mete né finalità. Si passa di locale in locale, si transita in ogni tipo di esperienza, si girovaga da un gruppo all'altro. Si seguono i propri gusti (dissacrando le appartenenze, violando gli impegni, dimenticando le promesse), la stessa identità diventa un gioco. Ci si concentra sul presente, eppure il presente non è soddisfacente. Il significato (il senso) è la sola categoria che coglie pienamente la relazione fra le parti e il tutto della vita, mentre l’emozione (che esprime la tonalità affettiva dell’esperienza) appartiene al presente in un susseguirsi di attimi che, insieme, non formano una totalità coerente.
La performance estetica con le sue regole ed il suo percorso scandito a tappe può essere vista come un tentativo particolarmente drammatico di sottomettere saldamente e definitivamente una certa parte della vita ad un controllo ordinato. Può anche incentivare il disordine e il perturbamento ma, in realtà, li racchiude in luoghi e tempi prescritti. È possibile, certo, ricercare nella performance solo il suo momento liberatorio, descriverlo come libertà completa, esperienza totale, amore assoluto. Si può parlare della discoteca e della musica rock in termini assoluti e pensarle nei termini di un “fenomeno tribale che non può essere sottoposto a definizioni e costituisce ciò che potrebbe essere chiamato un incantesimo del ventesimo secolo”(Turner)
Quando però la performance non si svolge secondo il suo corso la conseguenza è inevitabile: invece di un passaggio diventa uno status: “la tendenza alla liminalità permanente e l’esempio hippy: si nota tra molte persone, soprattutto fra quelle al di sotto dei trent’anni, una tendenza che ora si sta diffondendo anche tra le altre, quella di cercare di creare una communitas e uno stile di vita che resta permanentemente nella liminalità”, una promiscuità che si avvita su di sé, bene espressa dal programma ideologico di Timothy Leary: “sintonizzarsi, entusiasmarsi e scomparire”.
Un viaggio senza meta è una performance che fallisce, una “festa che si mette male”, si potrebbe dire con le parole di R. Girard. Le performance, così come le ritualità religiose o civili, sono anche pericolose: se non si compiono secondo la propria regola producono danni: la delusione sociale scatena il teppismo o il bullismo (come nella violenza delle periferie), la perdita del piacere o la minaccia della noia la modificazione artificiale dello stato mentale (attraverso alcol e droghe). Il teppismo e la violenza negli stadi, l'etnocentrismo sconsiderato delle tifoserie organizzate, la corruzione sportiva dilagante, sono altrettante prove che la festa sportiva non ha più una funzione catartica e, anziché prevenire, genera essa stessa violenza e distruzione.
Le performance efficaci, invece, possono anche risvegliare una grande quantità di sentimento illecito (separazione) allo scopo di poter applicare la liberazione emozionale a valori legittimi e costruttivi in una fase successiva (transizione) e quindi rinnovare significati e ricostruire qualità morali (incorporazione).
Sono i tre tempi dei riti di passaggio, antiche ed efficaci performance di massa.